Tom Cruise non lo dice, ma il suo mestiere nella saga di Mission: Impossible (l’attore è dal 12 luglio nelle sale con Mission: Impossibile-read reckoning-parte uno), è quello dell’incursore. A lui – e alla sua squadra- spetta risolvere casi impossibili catturando, distruggendo e, se serve, sterminando il nemico e sventandone i piani malefici. Ma nella realtà a chi spetta combattere con sprezzo del pericolo e della propria incolumità? Nelle guerre combattute boots on the ground, sul terreno, spetta spesso a uomini normali, soldati o volontari, che il destino trasforma in eroi sovrumani, proiettili lanciati contro il nemico e a volte persino in grado di tornare dalla spedizione suicida. Ecco, allora, chi sono gli eroi delle vere missioni impossibili compiute durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. . la Grande Guerra. Nell’Europa della Grande guerra si moriva a decine di migliaia per conquistare un palmo di terreno, in assurdi assalti allo scoperto, tra reticolati e campi minati, contro postazioni e trincee guarnite di mitragliatrici. Sembrava che non ci fosse altro modo di condurre questa guerra di posizione, se non con una Materialschlacht (“battaglia di materiali”) dopo l’altra, superando lo stallo con la superiorità di munizioni ed esplosivi. Attacchi ottocenteschi con armi novecentesche, in sostanza: le tattiche e la mentalità dei generali non si erano ancora adeguate al progresso tecnologico e ciò provocava un profondo squilibrio tra fuoco e movimento, consentendo a un soldato in difesa di uccidere più uomini col minor sforzo.. Missioni suicide. Per gli attaccanti, più che una missione impossibile, una missione suicida. Fin dai primi anni di guerra, però, qualcuno si scervellò per trovare delle soluzioni alternative; le intuirono i francesi, mai primi ad applicarle su vasta scala furono i tedeschi, nella battaglia di Riga, sul fronte orientale contro i russi, nel settembre 1917. La nuova tattica prevedeva un intenso bombardamento introduttivo, per ridurre l’efficacia delle artiglierie dei difensori e non permettere l’afflusso di riserve nel settore minacciato – preferibilmente un comando, una batteria o le comunicazioni – su cui si riversava la fanteria, non più a ondate ma a piccoli gruppi.. E in breve tempo la soluzione dei piccoli gruppi prese piede in ogni esercito. I tedeschi crearono le Stosstruppen, o Sturmtruppen, che con Rommel ottennero il massimo successo infiltrandosi nel fronte italiano a Caporetto e dando inizio alla rotta delle armate di Cadorna. Ma anche gli italiani reagirono per tempo, instituendole cosiddette Compagnie della morte addestrate a tagliare il filo spinato per permettere l’avanzata del grosso della truppa.
Arrivano gli Arditi. Ma anche gli italiani reagirono per tempo, instituendo le cosiddette Compagnie della morte addestrate a tagliare il filo spinato per permettere l’avanzata del grosso della truppa. Nel luglio 1917, poi, nacquero gli Arditi, che già nel nome enunciavano il loro ruolo: nell’agosto successivo esordirono nella battaglia della Bainsizza con una brillante azione di slancio, che permise la conquista del Monte Fratta e la cattura di 500 austriaci. Dopo Caporetto gli Arditi, decimati per proteggere la ritirata verso il Piave, vennero sciolti e ricostituiti in 22 battaglioni d’assalto e poi in un Corpo d’Armata; e furono proprio 600 Arditi a risultare risolutivi, nel giugno 1918, per la resistenza sul Grappa, con un’azione di sorpresa sul Col Moschin.. i corpi speciali della Seconda guerra mondiale. Ma è stato il conflitto più grande a generare il maggior numero di corpi speciali. Lo scenario è quello della Seconda guerra mondiale, dove i primi protagonisti di missioni impossibili furono inglesi e italiani. I britannici si posero il problema durante la ritirata da Dunkerque, nel giugno 1940; il memorandum stilato dal tenente colonnello Dudley Clarke perla costituzione di reparti d’assalto, i Commandos, attirò l’attenzione del primo ministro Churchill, che lo approvò entusiasta.
E non a caso furono loro due i protagonisti dell’iniziativa; Clarke era sudafricano, e Churchill, in gioventù, era stato prigioniero di un commando boero. Scattò una nuova fase nella storia delle truppe speciali: non più unità estemporanee ad hoc, ma un’istituzione permanente di cui si dotarono gradualmente le forze armate di tutti i Paesi. Clarke selezionò l’eccellenza delle truppe del British Army: uomini “di costituzione robusta, abili nel nuoto e del tutto immuni al mal di mare”, dotati di “coraggio, resistenza fisica, spirito d’iniziativa e ingegnosità; dinamismo, precisione nel tiro, fiducia nelle proprie capacità e spirito bellico aggressivo”.. Operazione Chariot. Supercombattenti, insomma, che nel febbraio successivo vennero strutturati in una serie di commando da oltre 300 uomini ciascuno, il massimo degli effettivi stipabili su una coppia dimezzi da sbarco. Tra le loro imprese più memorabili, spicca l’Operazione Chariot contro il porto di St. Nazaire, nella quale distrussero il solo bacino di carenaggio a disposizione dei tedeschi nell’Atlantico.. I Ranger americani. Sulla loro scorta, gli americani iniziarono a costituire unità speciali un anno dopo. Il loro Clarke si chiamava William Orlando Darby, creatore e comandante del 1° Battaglione Ranger. I primi a doversela vedere con loro furono proprio gli italiani, in Africa; i Rangers sorpresero nottetempo un reparto di Camicie Nere, e da allora il comandante si guadagnò il soprannome, presso le nostre truppe, di Mortenera.
Ai sei battaglioni degli U.S. Army Rangers si devono molte delle imprese più rischiose lanciate, su tutti i fronti, dagli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. L’attuale 75° Reggimento Rangers ha conservato il loro motto, “Rangers, lead the way”, ovvero “Rangers, mostrate la strada”, per la prima volta a Omaha Beach durante lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, a indicare quanto i compiti li esponessero ai colpi del nemico; non a caso, pochi mesi prima, tre dei loro battaglioni erano stati annientati ad Anzio.. I reparti speciali italiani. E l’Italia? Aquell’epoca avevamo già i nostri reparti speciali, per mare e per terra, che avevano compiuto più d’una impresa impossibile. Il battaglione Alpini sciatori Monte Cervino si era distinto soprattutto in Russia, dove presso i sovietici si era guadagnato il soprannome di diavoli bianchi, prima di essere sterminato nel corso della controffensiva di inizio 1943. I loro diretti discendenti, il battaglione Alpini Paracadutisti Monte Cervino, gode dal 1999 della qualifica di Ranger.
Ma i colpi più grossi gli italiani li avevano messi a segno sul fronte marittimo, con gli incursori della XaFlottiglia Mas. La loro armai n più era il siluro a lenta corsa, soprannominato “maiale” dal suo inventore, il maggiore Teseo Tesei, in grado di trasportare cariche esplosive fino a 200 kg e di procedere sott’acqua con due uomini di equipaggio. Prima dell’Armistizio, dopo il quale il comandante dell’unità, Junio Valerio Borghese, si sarebbe alleato con i nazisti, i mezzi d’assalto danneggiarono oltre 200mila tonnellate di naviglio nemico in una serie di incursioni nei porti inglesi, la più celebre delle quali il 19 dicembre 1941 ad Alessandria.. Il diretto erede dell’unità, il Raggruppamento Subacquei ed Incursori “Teseo Tesei” (Comsubin), è stato istituito nel 1960 e i suoi due gruppi operativi sono il Goi, Gruppo operativo incursori, e il Gos, Gruppo operativo subacquei; il primo in particolare ha ampliato le proprie specifiche operando non solo in teatri marittimi, tanto da poter vantare operazioni dall’Afghanistan al Ruanda, in Somalia come nel Golfo Persico..
Dai ranger agli arditi: le missioni impossibili dei corpi speciali che hanno fatto la differenza durante le due Guerre mondiali.