Mentre nei cinema sbanca Indiana Jones e il Quadrante del destino (2023), quinta pellicola della saga dedicata alle avventure dello spericolato archeologo, scopriamo il personaggio storico che si nasconde dietro all’eroe cinematografico attraverso l’articolo “Ossessione fatale” di Matteo Sacco, tratto dagli archivi di Focus Storia.. Fine misteriosa. “Noi non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica, mai, il punto dove scavare”. Questa citazione, tratta dal film Indiana Jones e l’ultima crociata (1989), calzerebbe a pennello in bocca al personaggio – reale – che più di altri ha ispirato la figura del mitico archeologo cinematografico (e non solo quella).
Si chiamava Percy Harrison Fawcett, visse a cavallo fra Ottocento e Novecento (1867-1925), rivoluzionò il mondo delle esplorazioni e si è guadagnato un posto nella leggenda per più di un motivo. Non ultimo, la sua misteriosa scomparsa nel cuore dell’Amazzonia, dove sperava di scoprire le rovine di un’antica civiltà (che ribattezzò Z) e dove invece trovò la morte, insieme al figlio e a un altro giovanissimo esploratore. Ma prima di arrivare alla sua fine, meglio partire dall’inizio.. ANIMO INQUIETO. Percy Fawcett nacque il 18 agosto 1867 a Torquay, nel Devon (in Inghilterra) da padre indiano e madre inglese. Nel 1886 fu arruolato nella prestigiosa Royal Artillery, prestando servizio a Trincomalee, Ceylon. Qui si innamorò di Nina Agnes Patersoned, che sposò, ed entrò a far parte della Royal Geographical Society, studiando topografia e cartografia.
Nel giro di qualche anno si ritrovò con un incarico da topografo per i servizi segreti britannici. Destinazione, il Nord Africa. Forse il ruolo di spia gli andava stretto, di certo aveva altri progetti in mente. Fatto sta che si rimise sui libri (per studiare archeologia, geografia, rilevamento e mappatura) finché, nel 1906, gli si presentò l’occasione per la prima grande avventura. Meta: America Latina. Missione: mappare la regione di confine tra Bolivia e Brasile per conto della Royal Geographical Society.. Personaggio leggendario. Armato di taccuino, bussola e machete, si addentrò a piedi nella foresta sconosciuta in un’avventura di cui restano molti aneddoti: nel 1907 sparò a una anaconda gigante lunga 19 metri; incrociò animali strani (come un piccolo cane simile a un gatto o a una volpe), ragni giganti, lunghissimi corsi d’acqua infestati dai piranha, anguille elettriche e pesciolini capaci di infilarsi negli orifizi degli uomini che guadavano i fiumi per nutrirsi del loro sangue; insetti, parassiti e larve che si insinuavano sotto la pelle e lì proliferavano fino a far marcire il corpo del loro ospite.
In quell’ambiente ostile compì comunque la sua missione e in più rintracciò le sorgenti del Rio Verde in Brasile e quella del fiume Heath, al confine tra Perù e Bolivia. Il tutto a tempo di record: con un anno d’anticipo sul programma, riabbracciò la moglie Nina e il figlio Jack, che allora aveva appena tre anni.. La città perduta. Nelle spedizioni successive si rafforzò in lui la convinzione che nel Mato Grosso fosse sepolta un’antica città, che chiamò Z, di cui da secoli si erano perse le tracce. Pronto a partire alla volta del suo Eldorado per inseguire quella che, in breve tempo, era diventata un’ossessione, venne bloccato dallo scoppio della Prima guerra mondiale.
Si arruolò volontario e dopo cinque anni di battaglie e febbrile attesa (era angosciato dal pensiero che qualcuno scoprisse la “sua” città prima di lui), si rimise in viaggio. Le prime due spedizioni furono poco fortunate, ma finalmente trovò i fondi per quella del 1925, che avrebbe dovuto portarlo a Z.. Le ultime parole. In quel fatidico 1925 Fawcett (ormai 58enne) si imbarcò con il figlio di 22 anni Jack e Raleigh Rimmell, 21 anni. In una serie di lettere descrisse nel dettaglio l’itinerario. La squadra partì da Cuiabà, attuale capitale del Mato Grosso, il 20 aprile 1925. Le condizioni erano ottimali, la stagione era quella giusta, nonostante di notte le temperature scendessero velocemente e la presenza degli insetti fosse davvero una delle peggiori compagnie.
Fawcett non aveva dubbi sul fatto che avrebbe incontrato gli indios dopo una settimana di viaggio e appariva sicuro di sé. Scriveva alla moglie: “Speriamo di superare presto questa zona… ci siamo accampati qui, al Campo Cavallo Morto a -11° 43′ di latitudine sud e -54° 35′ ovest, esattamente il punto in cui morì il mio cavallo nel 1920 (durante una delle sue spedizioni precedenti, ndr). Ci sono soltanto le sue ossa imbiancate… Non temere, non falliremo…”.. VERSO L’IGNOTO. Eppure, prima di partire, aveva lasciato detto all’altro figlio: “Se non dovessimo ritornare non voglio che vengano a cercarci con spedizioni di soccorso. È troppo pericoloso. Se, con tutta la mia esperienza, non riusciamo noi a farcela, che speranza può esserci per gli altri? Ecco perché non voglio dire esattamente dove andiamo. Sia che riusciamo a salvarci e ritornare, sia che lasciamo là le nostre ossa a marcire, una cosa è certa: la soluzione dell’enigma dell’antica America del Sud – e forse di tutto il mondo preistorico – si troverà soltanto quando le antiche città saranno ritrovate e aperte alla ricerca scientifica… Che queste città esistano, lo so con certezza”.
Nel pieno della spedizione, alla fine di maggio, le guide locali non se la sentirono di addentrasi oltre nella foresta, e decisero di tornare indietro. Un saluto, e i tre inglesi proseguirono da soli, verso il loro oscuro destino. Nessuno li vide mai più.. CHI LI HA VISTI? Nei decenni successivi, sono stati più di un centinaio gli appassionati e gli esploratori che sono morti nel tentativo di capire che cosa sia successo. Secondo alcuni Fawcett sarebbe stato ucciso da una tribù di indigeni. C’è chi lo immaginò persino – dopo aver perso la memoria – a capo di una tribù di cannibali.
Tra gli esploratori che tentarono l’impresa di recuperare i resti della spedizione ci fu anche il danese Arne Falk-Rønne: si avventurò nel Mato Grosso degli anni Sessanta e, in un libro pubblicato 30 anni dopo, confessò di aver conosciuto il destino di Fawcett da Orlando Villas-Bôas – uno dei massimi esperti di civiltà indigene del Sud America, nativo del Mato Grosso – il quale avrebbe parlato con uno degli assassini di Fawcett.. OSSA DEL MISTERO. Secondo questa particolare teoria, Fawcett perse i doni che portava con sé. I regali erano destinati ai capi delle tribù che vivevano nel folto della giungla: tra le più temibili c’erano i Kalapalo. Avanzare in questi territori senza la benedizione dei leader rappresentava un reale pericolo. Le cronache del tempo riportano come gli avventurieri della spedizione fossero feriti.
Il binomio dato dalla mancanza di doni e dall’impossibilità di scappare, a causa delle condizioni fisiche, giocò a loro sfavore. I Kalapalo prima li catturarono, poi li uccisero. I corpi di Jack Fawcett e Raleigh Rimmell furono gettati nel fiume mentre il colonnello Fawcett, considerato anziano e degno di rispetto, ricevette una sepoltura. Falk-Rønne visitò la tribù Kalapalo e gli indigeni confermarono la versione di Villas-Bôas.
La fine. Fu proprio lo studioso brasiliano a ricevere, nel 1951, i resti dello scheletro di Fawcett. Li esaminò e giunse alla conclusione che quelle ossa appartenevano proprio all’inglese. Il figlio di Fawcett, Brian, rifiutò questa conclusione e intraprese una battaglia contro Villas-Bôas, e anche analisi successive smentirono l’attribuzione.
Qualunque sia stata la fine di Fawcett, restano i risultati delle sue imprese. I suoi sforzi per mappare vaste aree dell’Amazzonia favorirono la definizione dei confini politici. E, ancora più rilevante, il suo lavoro contribuì alla comprensione della biodiversità (scoprì tra l’altro molte specie animali) e dell’importanza ecologica del più grande ecosistema sulla Terra..
Il colonnello Percy Fawcett è l’archeologo-esploratore che ha ispirato il personaggio di Indiana Jones. Ma non ebbe la stessa fortuna: sparì nel nulla durante la sua ultima missione.