30 Ottobre 2024

Sulla Terra parti del pianeta che formò la Luna?

Nel mantello della Terra (lo strato che sta al di sotto della crosta terrestre) potrebbero esserci pezzi di un antico pianeta, rimasti intrappolati dopo lo scontro tra quest’ultimo e il nostro Pianeta. Da tempo è infatti stato ipotizzato che la Luna possa essere nata come conseguenza dell’impatto tra un “oggetto” che oggi chiamiamo Theia, di dimensioni simili a Marte, e la Terra. Il primo, praticamente, si sbriciolò e dai detriti nacque il nostro satellite naturale.
Imprigionati. È l’ipotesi chiamata dell'”impatto gigante”. Delle parti che appartenevano a Theia, tuttavia, non tutte potrebbero essere rimaste libere nello spazio, ma, secondo una nuova ipotesi, un paio di giganteschi grumi potrebbero essere finiti incastonati nelle profondità del sottosuolo terrestre, nel nostro mantello. . Da decenni, infatti, i ricercatori sanno che ci sono due aree nel mantello terrestre, ciascuna di decine di chilometri di diametro, che risultano in un certo senso leggermente anomale rispetto a ciò che le circonda. Una si trova sotto l’Africa e l’altra sotto l’Oceano Pacifico. Questi corpi sembrano essere più densi del resto del mantello, quindi sono attraversati più lentamente dalle onde sismiche. Per questa ragione le aree si sono guadagnate il nome di “grandi province a bassa velocità di taglio”, o LLVP, una definizione geologica che sta proprio ad indicare un rallentamento delle onde sismiche.
C’è un collegamento? Qian Yuan del California Institute of Technology e i suoi colleghi hanno ipotizzato che il fatidico, gigantesco impatto e gli LLVP potrebbero essere correlati tra loro. I ricercatori hanno eseguito una serie di simulazioni su come si sarebbero comportate le macerie prodotte dallo scontro tra Theia e la Terra. Hanno scoperto che il materiale che componeva il mantello di Theia si sarebbe fuso e sarebbe affondato nella Terra fino al confine tra il mantello e il nucleo terrestre, creando uno strato sottile che ricopriva l’intero nucleo a circa 2.800 chilometri di profondità. . Poi, col tempo, si parla di miliardi di anni, la convezione all’interno del mantello terrestre (ossia la risalita e discesa del materiale che compone il mantello) avrebbe lentamente raccolto questo denso materiale e lo avrebbe portato verso la superficie, accumulandolo successivamente nei due grumi che vediamo oggi a profondità assai inferiori.
Toccare con mano? Sarebbe bello se fosse possibile confermare questa ipotesi in modo diretto, andando a performare quei grumi che si trovano a centinaia di chilometri di profondità, ma la tecnologia a nostra disposizione al momento ci consente di raggiungere al massimo i 15 chilometri di profondità con le perforazioni. Però, poiché dal mantello vi sono continue risalite di materiale che arriva in superficie, ad esempio attraverso vulcani, non è escluso che quel materiale sia già arrivato o possa arrivare in futuro.
«Nonostante non si trovi più vicino al nucleo terrestre», afferma Yuan nel suo studio pubblicato su Nature, «quel materiale proviene da profondità molto maggiori di quelle che chiunque sia mai riuscito a perforare. Un materiale che potremmo anche catturare dalle “bolle di mantello” che si sollevano e che possono arrivare in superficie».
L’ipotesi è supportata dal fatto che, in passato, da alcuni pennacchi che hanno portato materiale in superficie sono state evidenziate tracce chimiche simili proprio ad alcune che erano state trovate sulla Luna, il che supporta l’idea che gli LLVP siano effettivamente “resti” di Theia, confermando a sua volta l’ipotesi dell’impatto gigante stesso..

 Due regioni del nostro Pianeta risultano anomale rispetto a ciò che le circonda: forse sono “grumi” di Theia, l’antico pianeta che impattò la Terra e formò la Luna. Nel mantello della Terra (lo strato che sta al di sotto della crosta terrestre) potrebbero esserci pezzi di un antico pianeta, rimasti intrappolati dopo lo scontro tra quest’ultimo e il nostro Pianeta. Da tempo è infatti stato ipotizzato che la Luna possa essere nata come conseguenza dell’impatto tra un “oggetto” che oggi chiamiamo Theia, di dimensioni simili a Marte, e la Terra. Il primo, praticamente, si sbriciolò e dai detriti nacque il nostro satellite naturale.
Imprigionati. È l’ipotesi chiamata dell'”impatto gigante”. Delle parti che appartenevano a Theia, tuttavia, non tutte potrebbero essere rimaste libere nello spazio, ma, secondo una nuova ipotesi, un paio di giganteschi grumi potrebbero essere finiti incastonati nelle profondità del sottosuolo terrestre, nel nostro mantello. . Da decenni, infatti, i ricercatori sanno che ci sono due aree nel mantello terrestre, ciascuna di decine di chilometri di diametro, che risultano in un certo senso leggermente anomale rispetto a ciò che le circonda. Una si trova sotto l’Africa e l’altra sotto l’Oceano Pacifico. Questi corpi sembrano essere più densi del resto del mantello, quindi sono attraversati più lentamente dalle onde sismiche. Per questa ragione le aree si sono guadagnate il nome di “grandi province a bassa velocità di taglio”, o LLVP, una definizione geologica che sta proprio ad indicare un rallentamento delle onde sismiche.
C’è un collegamento? Qian Yuan del California Institute of Technology e i suoi colleghi hanno ipotizzato che il fatidico, gigantesco impatto e gli LLVP potrebbero essere correlati tra loro. I ricercatori hanno eseguito una serie di simulazioni su come si sarebbero comportate le macerie prodotte dallo scontro tra Theia e la Terra. Hanno scoperto che il materiale che componeva il mantello di Theia si sarebbe fuso e sarebbe affondato nella Terra fino al confine tra il mantello e il nucleo terrestre, creando uno strato sottile che ricopriva l’intero nucleo a circa 2.800 chilometri di profondità. . Poi, col tempo, si parla di miliardi di anni, la convezione all’interno del mantello terrestre (ossia la risalita e discesa del materiale che compone il mantello) avrebbe lentamente raccolto questo denso materiale e lo avrebbe portato verso la superficie, accumulandolo successivamente nei due grumi che vediamo oggi a profondità assai inferiori.
Toccare con mano? Sarebbe bello se fosse possibile confermare questa ipotesi in modo diretto, andando a performare quei grumi che si trovano a centinaia di chilometri di profondità, ma la tecnologia a nostra disposizione al momento ci consente di raggiungere al massimo i 15 chilometri di profondità con le perforazioni. Però, poiché dal mantello vi sono continue risalite di materiale che arriva in superficie, ad esempio attraverso vulcani, non è escluso che quel materiale sia già arrivato o possa arrivare in futuro.
«Nonostante non si trovi più vicino al nucleo terrestre», afferma Yuan nel suo studio pubblicato su Nature, «quel materiale proviene da profondità molto maggiori di quelle che chiunque sia mai riuscito a perforare. Un materiale che potremmo anche catturare dalle “bolle di mantello” che si sollevano e che possono arrivare in superficie».
L’ipotesi è supportata dal fatto che, in passato, da alcuni pennacchi che hanno portato materiale in superficie sono state evidenziate tracce chimiche simili proprio ad alcune che erano state trovate sulla Luna, il che supporta l’idea che gli LLVP siano effettivamente “resti” di Theia, confermando a sua volta l’ipotesi dell’impatto gigante stesso..