Il concetto di riciclo non è un’invenzione moderna: a quanto pare, i nostri antenati lo mettevano in pratica già in epoca neolitica, seppur in modo più macabro di quanto non facciamo oggi. I materiali riutilizzati? Le ossa dei defunti, che venivano recuperate per costruire utensili e forse anche per compiere riti religiosi.. Ossa “riciclate”. È questo il risultato delle analisi sui resti umani provenienti da Cueva de los Marmoles, una grotta del Sud della Spagna poco lontano da Cordoba. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, è stato condotto da un team internazionale di ricercatori guidato da Zita Laffranchi e Marco Milella (Università di Berna, Svizzera) e Rafael M. Martínez Sánchez (Università di Cordoba, Spagna), e ha preso in esame oltre 400 frammenti ossei di adulti e bambini rinvenuti in varie zone della cava datati tra il V e il II millennio a.C.
Le analisi dei reperti in questione, effettuate con metodi tecnologici all’avanguardia (tra cui il radiocarbonio e apparecchiature microscopiche di scansione), hanno rivelato che quasi un terzo dei frammenti era stato “lavorato” intenzionalmente e presentava segni compatibili con un loro riutilizzo. In breve, le ossa umane erano state sottoposte a un meticoloso processo di pulizia e manipolazione per poi essere riciclate come utensili.. Utensili (e non solo). Stando allo studio, i frammenti ossei non erano stati staccati a forza da muscoli o tendini, e proprio l’assenza di indizi di violenza ha suggerito che il loro rimaneggiamento fosse avvenuto quando i cadaveri erano già parzialmente decomposti, alcuni mesi dopo la morte degli individui.
Tra i reperti più significativi presi in esame ci sono il teschio di un uomo di mezza età, che era stato levigato con strumenti di pietra e modellato a mo’ di ciotola, e la tibia di un adolescente, adattata per fungere da spatola. Non solo, ma varie ossa lunghe erano state rotte e al loro interno erano stati in seguito rimossi i tessuti molli, anche se il fine di tale prassi rimane ancora oscuro. Al riguardo, non si sa se il midollo fosse destinato al consumo alimentare o se invece la sua rimozione rientrava in rituali funerari di stampo religioso.. Pratica comune? Situata a un’altezza di circa 900 metri, la Cueva de los Mármoles è ben nota agli archeologi, che hanno cominciato a esplorarla già dal 1934 conducendo diverse campagne di scavo. Ampio oltre 2.500 m2, il suo interno fu utilizzato come una sorta di “cimitero” dagli agricoltori e dai pastori preistorici della zona.
Gli autori dello studio hanno individuato la presenza umana in tre periodi distinti: dal 3900 al 3750 a.C., dal 2600 al 2300 a.C. e dal 1400 al 1200 a.C. Dopo aver confrontato i reperti di Mármoles con altre testimonianze simili, hanno inoltre ipotizzato che il “riciclo” delle ossa dei morti doveva essere comune tra le popolazioni neolitiche dell’area iberica meridionale. Quanto alle motivazioni, infine, la discussione è ancora aperta e i ricercatori suggeriscono che potrebbero celare scopi rituali. Ad aprire ulteriori scenari potrebbero essere futuri esami sul DNA dei resti, dai quali si chiariranno i rapporti tra gli individui sepolti nella grotta.
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Le popolazioni neolitiche della Spagna usavano le ossa umane per creare contenitori, spatole, ciotole (e forse anche per mangiare il midollo).
Il concetto di riciclo non è un’invenzione moderna: a quanto pare, i nostri antenati lo mettevano in pratica già in epoca neolitica, seppur in modo più macabro di quanto non facciamo oggi. I materiali riutilizzati? Le ossa dei defunti, che venivano recuperate per costruire utensili e forse anche per compiere riti religiosi.. Ossa “riciclate”. È questo il risultato delle analisi sui resti umani provenienti da Cueva de los Marmoles, una grotta del Sud della Spagna poco lontano da Cordoba. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, è stato condotto da un team internazionale di ricercatori guidato da Zita Laffranchi e Marco Milella (Università di Berna, Svizzera) e Rafael M. Martínez Sánchez (Università di Cordoba, Spagna), e ha preso in esame oltre 400 frammenti ossei di adulti e bambini rinvenuti in varie zone della cava datati tra il V e il II millennio a.C.
Le analisi dei reperti in questione, effettuate con metodi tecnologici all’avanguardia (tra cui il radiocarbonio e apparecchiature microscopiche di scansione), hanno rivelato che quasi un terzo dei frammenti era stato “lavorato” intenzionalmente e presentava segni compatibili con un loro riutilizzo. In breve, le ossa umane erano state sottoposte a un meticoloso processo di pulizia e manipolazione per poi essere riciclate come utensili.. Utensili (e non solo). Stando allo studio, i frammenti ossei non erano stati staccati a forza da muscoli o tendini, e proprio l’assenza di indizi di violenza ha suggerito che il loro rimaneggiamento fosse avvenuto quando i cadaveri erano già parzialmente decomposti, alcuni mesi dopo la morte degli individui.
Tra i reperti più significativi presi in esame ci sono il teschio di un uomo di mezza età, che era stato levigato con strumenti di pietra e modellato a mo’ di ciotola, e la tibia di un adolescente, adattata per fungere da spatola. Non solo, ma varie ossa lunghe erano state rotte e al loro interno erano stati in seguito rimossi i tessuti molli, anche se il fine di tale prassi rimane ancora oscuro. Al riguardo, non si sa se il midollo fosse destinato al consumo alimentare o se invece la sua rimozione rientrava in rituali funerari di stampo religioso.. Pratica comune? Situata a un’altezza di circa 900 metri, la Cueva de los Mármoles è ben nota agli archeologi, che hanno cominciato a esplorarla già dal 1934 conducendo diverse campagne di scavo. Ampio oltre 2.500 m2, il suo interno fu utilizzato come una sorta di “cimitero” dagli agricoltori e dai pastori preistorici della zona.
Gli autori dello studio hanno individuato la presenza umana in tre periodi distinti: dal 3900 al 3750 a.C., dal 2600 al 2300 a.C. e dal 1400 al 1200 a.C. Dopo aver confrontato i reperti di Mármoles con altre testimonianze simili, hanno inoltre ipotizzato che il “riciclo” delle ossa dei morti doveva essere comune tra le popolazioni neolitiche dell’area iberica meridionale. Quanto alle motivazioni, infine, la discussione è ancora aperta e i ricercatori suggeriscono che potrebbero celare scopi rituali. Ad aprire ulteriori scenari potrebbero essere futuri esami sul DNA dei resti, dai quali si chiariranno i rapporti tra gli individui sepolti nella grotta.
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