Incredibile: siete ammutoliti davanti a un eccezionale spettacolo, ma sapete bene di che cosa si tratta: è un’astronave aliena. E voi siete i primi testimoni di un contatto con un’altra civiltà intelligente proveniente dallo spazio.
Contatto alieno. Di scene come quella descritta all’inizio sono pieni i libri e i film di fantascienza, e ogni autore propone soluzioni diverse su come affrontare la situazione, a seconda che gli alieni di turno siano pacifici (e in genere lo sono quando sono più intelligenti di noi) o abbiano intenzioni ostili (perché hanno distrutto il loro pianeta di origine e ne cercano altri da colonizzare). Ma, nella realtà, qualcuno ha pensato a stilare un protocollo di intervento nel caso in cui ci si trovi davanti a un contatto alieno?. «Qualsiasi protocollo di questo tipo è prematuro perché dobbiamo prima identificare la natura degli oggetti alieni che incontriamo e capire il loro intento», spiega a Focus l’astronomo Abraham (Avi) Loeb, direttore dell’Institute forTheory & Computation dell’Università di Harvard a Cambridge (Usa). «Quando sapremo quali informazioni stanno cercando potremo decidere come rispondere».
Civiltà extraterrestri. Loeb è considerato uno dei massimi esperti nella ricerca di civiltà extraterrestri: tra i suoi libri di divulgazione spicca Extraterrestrial (Non siamo soli, Mondadori, 2022), ed è famoso per alcune sue provocazioni. Per esempio, nel 2017, quando fu individuato Oumuamua, il primo asteroide di origine interstellare, propose di studiarne a fondo la natura mettendo tra le ipotesi anche quella che potesse essere un oggetto tecnologico creato da una civiltà aliena.. Benvenuti. O no? Per la verità, qualcuno che sta lavorando a un piano per il fatidico incontro c’è: è il Seti Post Detection Hub (centro di post-rilevazione del Seti), inaugurato nel novembre 2022 all’Università di St Andrews, nel Regno Unito. A coordinare il gruppo di ricerca multidisciplinare (che comprende astronomi, biologi, neuroscienziati, informatici assieme a psicologi, filosofi, giuristi e artisti) è John Elliott, ricercatore in linguistica computazionale della stessa università. «Al momento non esistono protocolli di agenzie governative odi organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite» conferma Elliott. «Il Seti Post Detection Hub lavorerà proprio per risolvere questo problema».. Una serie di regole da seguire in caso di contatto alieno esiste già: è il documento “Dichiarazione di principi sulla condotta della ricerca di intelligenza extraterrestre” (in breve “Protocollo Seti”), approvato dal Gruppo di Studio Permanente Seti dell’Accademia Internazionale di Astronautica. Si occupa però della validazione di un segnale radio ritenuto “intelligente” proveniente dallo spazio, e delle modalità con cui diffondere la notizia. «Questo protocollo prevede vari passaggi», spiega Elliott, «ognuno dei quali considera un grado sempre più avanzato di “conoscenza” del segnale alieno».. Quindi il Protocollo Seti tratta solo di contatti a distanza. Anche quando arriva alla delicata fase di post-rilevazione, cioè quando sia stato stabilito con certezza che il segnale raccolto è di origine intelligente. «Per affrontare questa fase», specifica Elliott, «è stato istituito un gruppo di lavoro capace di fornire assistenza su tutte le questioni che possono sorgere in caso di segnale confermato, dall’analisi scientifica alla discussione pubblica delle implicazioni politiche, sociali, psicologiche, filosofiche, religiose».. Arrivano i militari. Ma torniamo all’ipotesi dell’atterraggio alieno. Che situazioni potremmo ipotizzare? Le prime a mobilitarsi sarebbero le forze armate dei Paesi coinvolti, che verrebbero messe in stato di allerta, pronte a contenere e a isolare le aree interessate. I sistemi di difesa aerea e i dispositivi di sorveglianza sarebbero intensificati e sarebbero schierate unità militari per garantire la sicurezza, isolando l’area dell’atterraggio e verificando la presenza di pericoli per la salute, come radioattività o sostanze tossiche. Inoltre, sulla base delle informazioni disponibili, le forze militari potrebbero sviluppare piani di difesa e contromisure nel caso in cui gli alieni si dimostrassero potenzialmente minacciosi.
Nei confronti della popolazione civile, invece, potrebbero essere attivate le procedure previste dai protocolli di evacuazione e raccolta in rifugi in caso di pericolo. Nel frattempo, tutto ciò che avviene avrebbe una risonanza mondiale, in diretta, sui media e sui social.. Importante sarebbe anche il supporto psicologico ai cittadini, alcuni dei quali potrebbero essere molto turbati dall’evento dell’atterraggio alieno; probabilmente spunterebbe qualche setta che vedrebbe negli extraterrestri i salvatori oppure, in alternativa, gli sterminatori del genere umano. A questo scopo potrebbero essere istituiti centri di assistenza psicologica per fornire supporto emotivo.
Dialogo pacifico. In una situazione straordinaria come questa, sarebbe auspicabile una collaborazione tra governi e scienziati di tutto il mondo, per raccogliere le informazioni possibili sulla natura degli alieni e sulle loro intenzioni, utilizzando mezzi avanzati di sorveglianza, come satelliti, droni e aerei spia. E si istituirebbero gruppi di esperti per studiare gli alieni e la loro tecnologia. Questi gruppi potrebbero valutare le minacce potenziali e formulare raccomandazioni sulle azioni da intraprendere, fra cui quella di cercare di stabilire un canale di comunicazione con i nuovi arrivati per avviare un dialogo pacifico.. Linguaggio da decifrare. Già, ma come potremmo comunicare con gli alieni? Con i suoni di Incontri ravvicinati del terzo tipo o con i logogrammi circolari di Arrival? John Elliott ha pensato anche a questo: «Ho sviluppato alcuni modelli di comunicazione, basati sui linguaggi rappresentativi dell’uomo e su quelli di alcuni animali come i delfini, modelli che sono progettati per identificare il linguaggio degli extraterrestri e scoprirne la sintassi». Ma, come nel caso di due persone che non parlano la stessa lingua, avremo bisogno di qualcosa che ci permetta di associare un significato ai segni (o alle parole) utilizzati.
La tecnologia da impiegare dipenderà dal tipo di incontro. «Se si tratta di un segnale da un pianeta lontano», prosegue Elliott, «lo strumento principale sarà l’analisi computazionale e l’applicazione di algoritmi. Ma non sarà facile, perché è sempre possibile che le parole ingannino. Tuttavia se il nostro “incontro” si svolgerà a grandi distanze, ciò annullerebbe qualsiasi minaccia». Ma lascerebbe aperto il problema di come gestire il “contatto”.
.
Ma esiste già un protocollo internazionale di accoglienza per gli alieni?