Uno degli “status symbol” più ambiti dell’antico Egitto era sfoggiare una tomba riccamente decorata: i committenti assegnavano i dipinti sulle pareti delle tombe ai più prestigiosi artisti dell’epoca, che, come in un’antica bottega rinascimentale, lavoravano gomito a gomito con i loro apprendisti.
Così accadeva anche nella Tebe di 3.000 anni fa (oggi Luxor), una delle necropoli più blasonate dell’antico Egitto, dove, come in tutti i luoghi in cui circola tanta ricchezza, possedere opere d’arte (anche da morti) era un modo di ostentare le proprie disponibilità.. Art-detector. Finora egittologi e storici dell’arte erano convinti che le pitture tombali, date le condizioni estreme in cui venivano realizzate: sottoterra, con poca luce, in un ambiente estremamente caldo e umido, fossero eseguite, tipo catena di montaggio, in poco tempo e possibilmente senza ritocchi.
Invece è esattamente il contrario, come dimostra uno studio pubblicato su Plos One da un team di scienziati e archeologi, che si sono concentrati sull’analisi ai raggi X di un ritratto di Ramses II. La scoperta sorprendente è che dietro a questo capolavoro pittorico si nasconde un articolato processo creativo, fatto di piccoli dettagli cambiati in corso d’opera, errori e scrupolose revisioni, invisibili a occhio nudo.. Se la montagna non va a Maometto. Un gruppo di ricercatori, sovvenzionato dall’Università di Sorbona e da quella di Liegi, è riuscito a trasportare fino alla ricca necropoli di Tebe (dove si trova anche la tomba di Tutankhamon) due delicate macchine a raggi X portatili, ricreando un laboratorio sotterraneo all’avanguardia nel bel mezzo del deserto.
Grazie a questi macchinari, con cui si può scoprire la presenza di disegni o di dipinti sotto la superficie, gli scienziati sono riusciti a mappare le pareti dipinte attraverso un minuzioso lavoro: la scansione di ogni piccola area ha richiesto fino a tre ore.. Dietro ai dipinti. Per individuare il colore originario della vernici scolorite e le linee ormai invisibili, tracciate sotto la superficie, hanno usato la tecnica della fluorescenza a raggi X che consente di “sbirciare” sotto a un dipinto, senza danneggiare la superficie. Ogni colore di vernice ha una sua peculiare composizione chimica, bombardando i dipinti con i raggi X gli scienziati hanno rilevato i pigmenti sia in superficie, sia gli strati di colore che si nascondono sotto.. I ritocchini del faraone. Una volta penetrati nel Ramesseum, il tempio funerario di Ramses II a Tebe, gli scienziati si sono concentrati sulla radiografia di un famoso ritratto del faraone della XIX dinastia, che governò l’Egitto per 67 anni: dal 1279 a.C. al 1213 a.C.. L’analisi ha rivelato tracce di una precedente versione sottostante del dipinto: la raffigurazione del sovrano, scoperta dagli indiscreti occhi dei raggi X, aveva un copricapo più corto, uno scettro diverso, una collana di altre dimensioni e la posizione di un braccio era cambiata. «Si è trattato di uno straordinario incontro con i fantasmi dei pittori che hanno lavorato a quest’opera, reso possibile dalla tecnologia», afferma Philippe Martinez, autore principale dello studio ed egittologo presso l’Università della Sorbona. «Non potremo mai sapere cosa ha spinto gli artisti a effettuare tutte queste piccole modifiche», prosegue Martinez, «possiamo solo supporre che la gigantesca pittura sia stata frutto della collaborazione tra maestri artisti, che hanno immaginato e progettato l’intera opera, e apprendisti che hanno steso il colore. Probabilmente le correzioni di posizione e i dettagli cambiati in corso d’opera sono stati fatti dopo l’attenta supervisione dei maestri»..
L’analisi ai raggi X del ritratto di Ramses II, dipinto 3mila anni fa, ha svelato errori e ritocchi introdotti durante la realizzazione di questo antico capolavoro.