Il 25 luglio 1943, dopo 10 interminabili ore di seduta notturna, il Gran consiglio del fascismo vota la sfiducia a Mussolini. Ecco i fatti e i protagonisti attraverso l’articolo “Sfiducia al duce” di Riccardo Michelucci, tratto dagli archivi di Focus Storia.. L’inizio della fine. È l’estate del 1943. Il territorio italiano è sottoposto a una minaccia diretta di attacco da parte degli Alleati. Il 10 luglio è scattato lo sbarco in Sicilia, sotto il comando del generale statunitense Dwight Eisenhower. Il 19 luglio, mentre centinaia di bombardieri alleati colpiscono Roma, Mussolini incontra Hitler a Feltre, per l’ultima volta nelle vesti di capo del governo. Si percepisce chiaramente che le truppe italiane non sostengono più appieno la guerra voluta dal duce. «La fine del regno di Mussolini era imminente. Lo preannunciavano le sconfitte, i bombardamenti, la perdita dell’impero, gli scioperi e l’inizio dell’invasione del Paese», spiega lo storico britannico John Foot, esperto di fascismo. «Il sostegno popolare era ormai svanito. Da tempo i gerarchi stavano complottando per deporre il duce. Soprattutto, il re era intenzionato a separare la sorte della monarchia da quella del regime e aveva maturato il proposito di far cadere Mussolini».. LA SEDUTA. Il 22 luglio il duce incontra Vittorio Emanuele III e gli promette di disimpegnare l’Italia dalla guerra, da settembre. È convinto che il re stia ancora dalla sua parte, ma si sbaglia. Il sovrano è deluso, avrebbe voluto le sue dimissioni e ha un piano per liberarsi di lui. Due giorni dopo, nel tardo pomeriggio del 24 luglio, nella Sala del pappagallo di Palazzo Venezia si riunisce il Gran consiglio del fascismo, l’organo supremo del regime. L’atmosfera è tesa. Un massiccio spiegamento di camicie nere presidia l’area intorno al palazzo. Mussolini apre la seduta e parla per oltre due ore, senza offrire però alcun argomento capace di placare i suoi critici.. Mozione di sfiducia. Dopo di lui prendono la parola altri due gerarchi. Intorno alle 21 è il turno del presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni Dino Grandi. Già ministro degli Esteri e della Giustizia, è uno degli uomini più in vista del regime. Quel giorno deve presentare una mozione che ha concordato con il re, in cui per la prima volta si esprime la sfiducia nei confronti del duce. Grandi ha nascosto due bombe a mano nella borsa perché teme di non uscire vivo da lì.
In quella seduta c’erano altri due ordini del giorno: quello del “fascistissimo” Roberto Farinacci, che voterà contro Grandi pur sostenendo tesi simili; e quello del neosegretario del partito fascista Carlo Scorza, che confermava l’appoggio a Mussolini chiedendo “metodi e mezzi nuovi”. Nessuna delle due mozioni sarà mai discussa. La seduta dura dieci ore ininterrotte e il 25 luglio, alle due e trenta del mattino, la maggioranza dei gerarchi presenti vota l’ordine del giorno presentato da Grandi. La fine del regime è suggellata nel pomeriggio quando, dopo l’ultima udienza con il re, Mussolini viene arrestato dai carabinieri nel cortile di Villa Savoia.. VERBALI TARDIVI. Di quella fatale seduta non furono mai redatti verbali. Il testo completo e l’originale dell’ordine del giorno Grandi furono pubblicati nel 1965 dal settimanale Epoca, grazie al ritrovamento dei documenti conservati da Nicola De Cesare, segretario personale di Mussolini. Qualche anno dopo uscirono i diari personali in cui molti protagonisti fornirono la loro versione dei fatti contribuendo ad alimentare voci, dietrologie e memorie divise. «Il fatto surreale», sostiene ancora Foot, «è che il regime aveva creato istituzioni parallele allo Stato, ma aveva lasciato il re al suo posto ritenendo che avrebbe avuto sempre un ruolo simbolico.
In realtà Vittorio Emanuele III era ancora il capo dello Stato. Per vent’anni non fece praticamente niente per ostacolare il fascismo, ma in quel momento drammatico, di fronte alla crisi bellica, decise che era giunto il momento di far cadere il duce, per cercare di salvarsi la pelle».
. Destituzione programmata. Sia Dino Grandi sia altri due gerarchi di spicco come Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano erano convinti da tempo che l’unica via d’uscita per evitare la disfatta militare dell’Italia era ormai la destituzione del duce, i cui errori stavano mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del regime. Non a caso, nel febbraio del 1943 Mussolini aveva operato il più massiccio rimpasto di governo da quando era al potere: nella lista dei ministri che aveva esonerato figuravano anche Bottai, Ciano e Grandi. Quest’ultimo espose al re il suo piano per far cadere Mussolini e con l’aiuto di Luigi Federzoni, suo stretto alleato, sondò i membri del Gran Consiglio per cercare di raccogliere adesioni. Molti dei gerarchi presenti alla seduta non compresero le conseguenze dell’approvazione di quel documento, volutamente vago.. AVVISATO. La mattina del 23 luglio Grandi informò anche Mussolini del suo ordine del giorno. Ma il duce non gli diede alcuna soddisfazione. “Gli anticipai quello che avrei detto – scrive Grandi nei suoi diari – e lo scongiurai di deporre spontaneamente nelle mani del Re tutti i poteri civili e militari come unica alternativa possibile per una soluzione della guerra e per il ripristino integrale della Costituzione. Mi attendevo una reazione violenta da parte di Mussolini. Questa non venne. Egli non mi aveva interrotto, aveva continuato a guardarmi fisso e cupo giocherellando nervosamente con la matita. Dopo di che il Duce, dopo aver respinto le mie richieste mi congedò con un arrivederci”.
Nel frattempo, da alcuni mesi la principessa Maria José di Savoia aveva stretto rapporti con gli Alleati tramite monsignor Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) per cercare di raggiungere una pace separata. Ma secondo gli studi più accreditati né la nuora del re, né il Vaticano ebbero un ruolo decisivo nella caduta del regime.. NON FU CONGIURA. Secondo il decano degli storici del fascismo Renzo De Felice, la destituzione del duce non fu neanche una diretta conseguenza della votazione del 25 luglio. L’arresto di Mussolini e la creazione di un governo militare presieduto dal generale Pietro Badoglio, gradito alle alte sfere militari, erano stati predisposti in un piano di colpo di Stato che alcuni settori dell’esercito avevano deciso di attuare sotto lo sguardo costante di Vittorio Emanuele III, qualunque fosse stato l’esito del Gran consiglio. «La destituzione di Mussolini e la fine del fascismo non erano lo scopo della maggior parte dei firmatari dell’ordine del giorno Grandi», conferma lo storico Emilio Gentile, autore del recente saggio 25 luglio 1943 (Laterza). «I diciannove firmatari dell’ordine del giorno Grandi non agirono vincolati da un’intesa o da un patto perché non formavano un gruppo accomunato da motivi, propositi, obiettivi concordanti. Nel comune filo conduttore delle critiche al duce si intrecciavano esigenze, motivazioni e scopi diversi».. Non ci fu dunque alcuna congiura per eliminare politicamente Mussolini. E non ci fu neanche un complotto con il re, prosegue Gentile, «perché Vittorio Emanuele era considerato infido e persino capace, in caso di proposte confidenziali, di “scoprirli” dinnanzi a Mussolini. Non sarebbe stata la prima volta; né loro sarebbero stati le prime vittime di un gioco simile da parte del re».. Il golpe non fu necessario. Dino Grandi affermò nel suo diario personale di aver appreso solo la mattina del 26 luglio che il colpo di Stato militare era già preparato e stava per essere lanciato. “Il Gran Consiglio lo ha preceduto soltanto di pochi giorni”, scrive il gerarca bolognese. Che poi commenta: “Ciò può aver indispettito qualche gruppo militare, ma a maggior ragione l’azione legale del Gran Consiglio è stata provvidenziale perché ha dato alla crisi la soluzione costituzionale”. Quel che è certo è che in quei giorni il regime aveva il destino segnato. Il colpo di Stato militare era già pronto: Mussolini sarebbe stato destituito comunque..
Ottant’anni fa, il 25 luglio 1943, il Gran consiglio del fascismo, con la complicità di Vittorio Emanuele II, metteva ai voti l’uscita di scena di Mussolini: la vittoria dei sì sanciva che il consenso verso il duce era finito, la guerra invece no, anzi la situazione stava precipitando.