3 Ottobre 2024

15/11/1914: Mussolini fonda Il popolo d’Italia

La passione per stampa del dittatore nell’articolo “Il giornalista Mussolini” di Gianpaolo Fissore, tratto dagli archivi di Focus Storia.. il fiuto del cronista. “Molto difficilmente si diventa giornalisti!”. Mussolini sintetizzò così, in occasione di una riunione di giornalisti milanesi nel 1923, le sue idee sul giornalismo. Nel suo caso si trattava – diceva – di una passione, al pari di quella per la politica. Quasi di un “istinto” che affermava di possedere come nessuno. Vero o falso che fosse, il giornalismo, sempre coniugato con la politica, fu l’attività che più lo impegnò fino alla presa del potere nel 1922. E che non abbandonò nemmeno negli ultimi giorni della Repubblica Sociale, a Salò.. Debutto svizzero. I primi passi nella professione li mosse in Svizzera, a Losanna, nel 1902. A salvarlo dall’accusa di vagabondaggio – era stato arrestato perché dormiva sotto un ponte – fu Emilio Marzetto, artigiano e redattore de L’avvenire del lavoratore, organo della Federazione socialista italiana in Svizzera, che gli procurò un tetto e un sussidio di 10 franchi per lavorare al giornale e nel sindacato dei muratori. Il 2 agosto di quello stesso anno pubblicò il suo primo articolo.
Il giovane Mussolini. Ne seguirono altri nove, frutto di un apprendistato culturale e politico nella cerchia dell’emigrazione socialista svizzera, dove poté mostrare la sua intransigenza rivoluzionaria. Sempre in Svizzera iniziò la collaborazione con Avanguardia socialista, settimanale dei sindacalisti-rivoluzionari: per loro continuò a scrivere anche nel 1904, rientrato in Italia, riconoscendosi nelle posizioni di chi nelle agitazioni sociali non disprezzava gli “eccessi anarchici”.. Esordi estremisti. Scriveva per esempio: “Ma i buoni […] apostoli del riformismo, quando stigmatizzano nella loro prosa sonora (sonora perché vuota) gli atti vandalici a cui si abbandonò la teppa, intendono condannare non già il teppismo, ma l’insurrezione. Il loro socialismo, strana amalgama di positivismo borghese e pretismo cristiano, non concepisce l’idea di ‘forza’. […] Per tutti coloro che al socialismo andarono attraverso le vie del sentimento, riesce impossibile concepire la rivoluzione socialista come una semplice e pura questione di ‘forza’. L’idea della ‘violenza’ poi li fa rabbrividire. Essi attraversarono come ciechi quaranta secoli di Storia!”.. Irriverente. Da redattore a direttore il passo fu breve: le raccomandazioni del politico e giornalista Giacinto Menotti Serrati e dell’attivista Angelica Balabanoff gli permisero di muovere i primi passi alla guida di modesti giornali locali. A Oneglia (Imperia), dove approdò nel 1908, gli fu affidata la direzione del settimanale socialista La lima. Subito si fece notare per i toni irriverenti e provocatori, dei quali era maestro: durante i quattro mesi di quel lavoro scrisse oltre una ventina di articoli, alcuni firmati “un vero eretico”, tutti improntati a un anticlericalismo che rasentava la blasfemia.
. Anticlericale. Come in questo caso: “E ora vogliamo porre una questione elegante ai teologi, ai preti, ai credenti: come spiegate il fatto che nonostante la prima o successive comunioni, un uomo può diventare miscredente, eretico, ateo o peggio ancora malfattore? Voi rispondete: dopo la comunione ha nuovamente peccato. Ed io ribatto: ma come ha potuto peccare se aveva il figlio di Dio in corpo? O Cristo è sempre presente e l’uomo non può peccare, o Cristo ha… evacuato e allora è un cibo che passa per i canali degli alimenti comuni”. Gli avversari definirono “empio e cannibalescamente antireligioso” anche il settimanale socialista trentino L’avvenire del lavoratore (omonimo di quello svizzero) che il futuro duce diresse dall’inverno all’estate del 1909.. Penna affilata. A Trento Mussolini affiancò l’incarico di segretario della locale Camera del Lavoro a un intenso impegno di scrittura, non limitandosi a riempire da solo le quattro pagine del piccolo giornale, ma collaborando attivamente al Popolo, diretto da Cesare Battisti (giustiziato come traditore dagli austriaci nel 1916). Tra i bersagli preferiti della penna del giovane Mussolini, oltre ai cattolici e al clero, si aggiunse il Partito popolare di Alcide De Gasperi (che farà arrestare nel 1927).. Espulso. I toni incendiari gli procurarono un arresto con l’accusa di “incitamento ad azioni immorali e all’odio contro le autorità dello Stato”. Fu espulso dalla città (allora austriaca) dopo pochi mesi di soggiorno. Rientrato a Forlì, visse negli ultimi mesi del 1909 in una condizione di precarietà, quasi rassegnato ad accettare l’impiego come funzionario dello stato civile ad Argenta, un comune del ferrarese. Finché i compagni socialisti gli proposero di diventare segretario della federazione forlivese e di dirigere il giornale che ne sarebbe stato portavoce.. “Lasciate pure gli errori”. Per il nuovo settimanale il direttore Mussolini scelse il nome La lotta di classe. Fu questo il trampolino di lancio per la sua carriera politica. Il giornale fu impostato sulla falsariga adottata fino a quel momento, con toni veementi e lavorandoci praticamente da solo. “Lasciateci pure gli errori di grammatica e di sintassi”, raccomandava al tipografo “i nostri lettori ci si sentiranno più a loro agio”.. Sul pezzo. Fu a questo Mussolini, dopo il trionfo al Congresso socialista di Reggio Emilia come leader della corrente rivoluzionaria, che la direzione del Partito socialista affidò all’unanimità, il 10 novembre del 1912, la direzione dell’Avanti!. Fu una scelta, dal punto di vista delle vendite, azzeccata. Sotto la sua direzione il quotidiano passò da circa 30 mila a 70 mila copie, con punte anche di 100 mila.. Cambio di linea. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, fedele ai dettami del pacifismo internazionalista al quale il partito aderiva, il direttore Mussolini fu dapprima sostenitore del più radicale neutralismo: “È giunta l’ora delle grandi responsabilità. Il proletariato d’Italia permetterà dunque che lo si conduca al macello ancora una volta? Noi non lo pensiamo nemmeno. Ma occorre muoversi, agire, non perdere tempo. Mobilitare le forze. Sorga dunque […] dalle moltitudini profonde del proletariato un grido solo, e sia ripetuto per le piazze e le strade d’Italia: ‘Abbasso la guerra!'”. A pochi mesi di distanza, con l’editoriale “Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva”, uscito il 18 ottobre 1914, ci fu una clamorosa inversione di rotta a favore dell’intervento dell’Italia in guerra. Due giorni dopo Mussolini si dimise e fu espulso dal partito. Il 15 novembre usciva già il primo numero (4 pagine) del suo nuovo giornale: Il Popolo d’Italia.. Strategico. La tempestività con cui nacque il nuovo giornale dimostra come Mussolini contasse già da tempo sui soldi necessari. Chi glieli aveva dati? Principalmente la Francia e alcune grandi industrie italiane (Fiat, Ansaldo) che consideravano il conflitto (a ragione, dal loro punto di vista) una fonte di grandi profitti. Il quotidiano, che per alcuni anni continuò a definirsi socialista, divenne portavoce dell’interventismo rivoluzionario e Mussolini vi impegnò tutte le sue doti comunicative. Il Popolo d’Italia divenne qualcosa di più di un giornale d’opinione: fu per il suo direttore uno strumento per la conquista di un ruolo da protagonista sulla scena politica.. Linguaggio innovativo. L’aggressività e la vis polemica affinate negli anni diedero i loro frutti. Il linguaggio immediato e diretto, improntato alla sfida più che alle argomentazioni, ricorreva a tecniche in parte ispirate ai futuristi. Esemplare l’incipit dell’articolo intitolato “Trincerocrazia” del dicembre del 1917: “La parola è brutta. Non importa. Ce ne sono di più brutte che hanno già da tempo diritto di cittadinanza nella lingua italiana. Ce ne infischiamo dei puristi che ringhiano davanti ai neologismi. Eterno conflitto fra sensibilità vecchia e quella nuova! La trincerocrazia è l’aristocrazia della trincea. È l’aristocrazia di domani. I suoi ‘quarti di nobiltà’ hanno il bel colore del sangue. Nel suo blasone può essere dipinto un ‘cavallo di frisia’, una trincea, una bomba a mano”.. La voce dei reduci. E ancora: “L’Italia va verso due grandi partiti: quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto”. Si conquistò così l’appoggio dei combattenti che, da reduci, avrebbero costituito la base del fascismo. E non a caso nel 1918 Il Popolo d’Italia diventò “quotidiano dei combattenti e dei produttori”.. Megafono. Nel dopoguerra dal giornale Mussolini continuò a tessere la sua tela del consenso. Il 29 ottobre 1922 fu proprio nel suo piccolo ufficio di direttore, in via Paolo da Cannobio a Milano, che Mussolini ricevette dal re il telegramma con l’invito a recarsi a Roma per ricevere l’incarico di formare un nuovo governo. Due giorni dopo, la direzione del quotidiano passò al fratello minore, Arnaldo. Il giornalista Mussolini cedette il passo al duce del fascismo. Eppure anche quando si affidò a mezzi di propaganda più potenti, come la radio, Mussolini continuò (fino all’ultimo, negli anni di Salò) a scrivere articoli. E a censurare la stampa, di cui conosceva bene la capacità di influenzare l’opinione pubblica..

 Il 15 novembre 1914 Mussolini fondò il quotidiano interventista Il popolo d’Italia. Ecco cosa scriveva i primi tempi e come usò il potere della stampa per i suoi fini. La passione per stampa del dittatore nell’articolo “Il giornalista Mussolini” di Gianpaolo Fissore, tratto dagli archivi di Focus Storia.. il fiuto del cronista. “Molto difficilmente si diventa giornalisti!”. Mussolini sintetizzò così, in occasione di una riunione di giornalisti milanesi nel 1923, le sue idee sul giornalismo. Nel suo caso si trattava – diceva – di una passione, al pari di quella per la politica. Quasi di un “istinto” che affermava di possedere come nessuno. Vero o falso che fosse, il giornalismo, sempre coniugato con la politica, fu l’attività che più lo impegnò fino alla presa del potere nel 1922. E che non abbandonò nemmeno negli ultimi giorni della Repubblica Sociale, a Salò.. Debutto svizzero. I primi passi nella professione li mosse in Svizzera, a Losanna, nel 1902. A salvarlo dall’accusa di vagabondaggio – era stato arrestato perché dormiva sotto un ponte – fu Emilio Marzetto, artigiano e redattore de L’avvenire del lavoratore, organo della Federazione socialista italiana in Svizzera, che gli procurò un tetto e un sussidio di 10 franchi per lavorare al giornale e nel sindacato dei muratori. Il 2 agosto di quello stesso anno pubblicò il suo primo articolo.
Il giovane Mussolini. Ne seguirono altri nove, frutto di un apprendistato culturale e politico nella cerchia dell’emigrazione socialista svizzera, dove poté mostrare la sua intransigenza rivoluzionaria. Sempre in Svizzera iniziò la collaborazione con Avanguardia socialista, settimanale dei sindacalisti-rivoluzionari: per loro continuò a scrivere anche nel 1904, rientrato in Italia, riconoscendosi nelle posizioni di chi nelle agitazioni sociali non disprezzava gli “eccessi anarchici”.. Esordi estremisti. Scriveva per esempio: “Ma i buoni […] apostoli del riformismo, quando stigmatizzano nella loro prosa sonora (sonora perché vuota) gli atti vandalici a cui si abbandonò la teppa, intendono condannare non già il teppismo, ma l’insurrezione. Il loro socialismo, strana amalgama di positivismo borghese e pretismo cristiano, non concepisce l’idea di ‘forza’. […] Per tutti coloro che al socialismo andarono attraverso le vie del sentimento, riesce impossibile concepire la rivoluzione socialista come una semplice e pura questione di ‘forza’. L’idea della ‘violenza’ poi li fa rabbrividire. Essi attraversarono come ciechi quaranta secoli di Storia!”.. Irriverente. Da redattore a direttore il passo fu breve: le raccomandazioni del politico e giornalista Giacinto Menotti Serrati e dell’attivista Angelica Balabanoff gli permisero di muovere i primi passi alla guida di modesti giornali locali. A Oneglia (Imperia), dove approdò nel 1908, gli fu affidata la direzione del settimanale socialista La lima. Subito si fece notare per i toni irriverenti e provocatori, dei quali era maestro: durante i quattro mesi di quel lavoro scrisse oltre una ventina di articoli, alcuni firmati “un vero eretico”, tutti improntati a un anticlericalismo che rasentava la blasfemia.
. Anticlericale. Come in questo caso: “E ora vogliamo porre una questione elegante ai teologi, ai preti, ai credenti: come spiegate il fatto che nonostante la prima o successive comunioni, un uomo può diventare miscredente, eretico, ateo o peggio ancora malfattore? Voi rispondete: dopo la comunione ha nuovamente peccato. Ed io ribatto: ma come ha potuto peccare se aveva il figlio di Dio in corpo? O Cristo è sempre presente e l’uomo non può peccare, o Cristo ha… evacuato e allora è un cibo che passa per i canali degli alimenti comuni”. Gli avversari definirono “empio e cannibalescamente antireligioso” anche il settimanale socialista trentino L’avvenire del lavoratore (omonimo di quello svizzero) che il futuro duce diresse dall’inverno all’estate del 1909.. Penna affilata. A Trento Mussolini affiancò l’incarico di segretario della locale Camera del Lavoro a un intenso impegno di scrittura, non limitandosi a riempire da solo le quattro pagine del piccolo giornale, ma collaborando attivamente al Popolo, diretto da Cesare Battisti (giustiziato come traditore dagli austriaci nel 1916). Tra i bersagli preferiti della penna del giovane Mussolini, oltre ai cattolici e al clero, si aggiunse il Partito popolare di Alcide De Gasperi (che farà arrestare nel 1927).. Espulso. I toni incendiari gli procurarono un arresto con l’accusa di “incitamento ad azioni immorali e all’odio contro le autorità dello Stato”. Fu espulso dalla città (allora austriaca) dopo pochi mesi di soggiorno. Rientrato a Forlì, visse negli ultimi mesi del 1909 in una condizione di precarietà, quasi rassegnato ad accettare l’impiego come funzionario dello stato civile ad Argenta, un comune del ferrarese. Finché i compagni socialisti gli proposero di diventare segretario della federazione forlivese e di dirigere il giornale che ne sarebbe stato portavoce.. “Lasciate pure gli errori”. Per il nuovo settimanale il direttore Mussolini scelse il nome La lotta di classe. Fu questo il trampolino di lancio per la sua carriera politica. Il giornale fu impostato sulla falsariga adottata fino a quel momento, con toni veementi e lavorandoci praticamente da solo. “Lasciateci pure gli errori di grammatica e di sintassi”, raccomandava al tipografo “i nostri lettori ci si sentiranno più a loro agio”.. Sul pezzo. Fu a questo Mussolini, dopo il trionfo al Congresso socialista di Reggio Emilia come leader della corrente rivoluzionaria, che la direzione del Partito socialista affidò all’unanimità, il 10 novembre del 1912, la direzione dell’Avanti!. Fu una scelta, dal punto di vista delle vendite, azzeccata. Sotto la sua direzione il quotidiano passò da circa 30 mila a 70 mila copie, con punte anche di 100 mila.. Cambio di linea. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, fedele ai dettami del pacifismo internazionalista al quale il partito aderiva, il direttore Mussolini fu dapprima sostenitore del più radicale neutralismo: “È giunta l’ora delle grandi responsabilità. Il proletariato d’Italia permetterà dunque che lo si conduca al macello ancora una volta? Noi non lo pensiamo nemmeno. Ma occorre muoversi, agire, non perdere tempo. Mobilitare le forze. Sorga dunque […] dalle moltitudini profonde del proletariato un grido solo, e sia ripetuto per le piazze e le strade d’Italia: ‘Abbasso la guerra!'”. A pochi mesi di distanza, con l’editoriale “Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva”, uscito il 18 ottobre 1914, ci fu una clamorosa inversione di rotta a favore dell’intervento dell’Italia in guerra. Due giorni dopo Mussolini si dimise e fu espulso dal partito. Il 15 novembre usciva già il primo numero (4 pagine) del suo nuovo giornale: Il Popolo d’Italia.. Strategico. La tempestività con cui nacque il nuovo giornale dimostra come Mussolini contasse già da tempo sui soldi necessari. Chi glieli aveva dati? Principalmente la Francia e alcune grandi industrie italiane (Fiat, Ansaldo) che consideravano il conflitto (a ragione, dal loro punto di vista) una fonte di grandi profitti. Il quotidiano, che per alcuni anni continuò a definirsi socialista, divenne portavoce dell’interventismo rivoluzionario e Mussolini vi impegnò tutte le sue doti comunicative. Il Popolo d’Italia divenne qualcosa di più di un giornale d’opinione: fu per il suo direttore uno strumento per la conquista di un ruolo da protagonista sulla scena politica.. Linguaggio innovativo. L’aggressività e la vis polemica affinate negli anni diedero i loro frutti. Il linguaggio immediato e diretto, improntato alla sfida più che alle argomentazioni, ricorreva a tecniche in parte ispirate ai futuristi. Esemplare l’incipit dell’articolo intitolato “Trincerocrazia” del dicembre del 1917: “La parola è brutta. Non importa. Ce ne sono di più brutte che hanno già da tempo diritto di cittadinanza nella lingua italiana. Ce ne infischiamo dei puristi che ringhiano davanti ai neologismi. Eterno conflitto fra sensibilità vecchia e quella nuova! La trincerocrazia è l’aristocrazia della trincea. È l’aristocrazia di domani. I suoi ‘quarti di nobiltà’ hanno il bel colore del sangue. Nel suo blasone può essere dipinto un ‘cavallo di frisia’, una trincea, una bomba a mano”.. La voce dei reduci. E ancora: “L’Italia va verso due grandi partiti: quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto”. Si conquistò così l’appoggio dei combattenti che, da reduci, avrebbero costituito la base del fascismo. E non a caso nel 1918 Il Popolo d’Italia diventò “quotidiano dei combattenti e dei produttori”.. Megafono. Nel dopoguerra dal giornale Mussolini continuò a tessere la sua tela del consenso. Il 29 ottobre 1922 fu proprio nel suo piccolo ufficio di direttore, in via Paolo da Cannobio a Milano, che Mussolini ricevette dal re il telegramma con l’invito a recarsi a Roma per ricevere l’incarico di formare un nuovo governo. Due giorni dopo, la direzione del quotidiano passò al fratello minore, Arnaldo. Il giornalista Mussolini cedette il passo al duce del fascismo. Eppure anche quando si affidò a mezzi di propaganda più potenti, come la radio, Mussolini continuò (fino all’ultimo, negli anni di Salò) a scrivere articoli. E a censurare la stampa, di cui conosceva bene la capacità di influenzare l’opinione pubblica..